Mixology, psicologia e il ruolo del bartender

Intervista a cinque con Antonio Parlapiano, Charles Flamminio, Remo Pizzolitto, Matteo Battiston e Simone Maion 

Cos’è la mixology?

L’arte di miscelare bevande ha sicuramente radici molto antiche: fin dall’antichità gli uomini amavano inventare bevande di ogni tipo, dal vino miscelato con spezie e aromi, alle prime versioni della birra. La mixology come la intendiamo oggi nasce però dopo la rivoluzione industriale, con la comparsa di liquori e distillati creati con grande maestria, e negli anni questa pratica è divenuta una vera e propria tecnica ai confini con l’alchimia. La mixology punta a ricreare un’esperienza di degustazione raccolta, unica e totalizzante, che coinvolga tutti i sensi di chi beve un cocktail.

Negli ultimi dieci anni, i bartenders ricercano miscele originali attingendo dal mondo dei liquori e dei distillati, utilizzando ingredienti provenienti dal mondo vegetale e avvalendosi di nuove tecniche culinarie basate su conoscenze fisico-chimiche. Ecco quindi comparire nuove tecniche di infusione, estrazione, essicazione, affumicatura e chiarificazione con l’utilizzo di bitters e tinture homemade, arie e velluti. Nelle loro ricette non mancano poi estratti di frutta e verdure puri, tè, preparati di puree vegetali di ogni genere, spume azotate, gelatine, polveri, spezie, prodotti alimentari cotti e crudi.

Il desiderio della mixology è quindi quello di creare il cocktail perfetto e gli occhi sono tutti puntati sul suo creatore, il mixologist, capace di catturare l’attenzione di chi attende con trepidazione di assaggiare le sue preparazioni. A rapire gli occhi degli avventori sono i gesti lenti e misurati, quasi sempre accompagnati da spiegazioni eleganti e affascinanti.

Pur essendo esploso solo negli ultimi anni, però, il mestiere del mixologist e la mixology  risalgono molto indietro nel tempo.

Le origini della mixology

Molti datano la nascita della mixology all’Ottocento e riconoscono in Jerry Thomas (1830 – 1885), barista di New York conosciuto anche con il soprannome di Professore,  l’ideatore di questa disciplina.

Nel 1862, Jerry “The Professor” Thomas scrisse The Bar-Tender’s Guide. How to mix Drinks, un manuale del perfetto barista che vanta il record di essere stato il primo libro sui cocktail mai pubblicato negli Stati Uniti. Nel volume si potevano trovare tutte le ricette da lui conosciute: dai grandi classici dell’epoca alle sue creazioni più originali.

Negli ultimi anni la figura del mixologist ha riscontrato una fama senza precedenti, grazie soprattutto al desiderio sempre più grande di assaporare cocktail unici e studiati, che sappiano mettere insieme lo studio del passato e le tecniche più avanzate.

Le interviste

Antonio Parlapiano, The Jerry Thomas Project Rome
Antonio Parlapiano

“Un bartender romano che ha avuto la tenacia di rincorrere il suo sogno e anche la fortuna di realizzarlo”: così si descrive Antonio Parlapiano, uno dei soci fondatori del Jerry Thomas Speakeasy, il primo “Secret Bar” Italiano nato nel 2010 a Roma. Una passione nata quasi per caso, “ho iniziato a fare il bartender per punizione perché ero stato bocciato a scuola e quindi mio papà mi ha mandato a lavorare da un suo amico appena rientrato dagli Stati Uniti” – mi spiega Antonio. Dopo diciannove anni di studio e di viaggi in giro per il mondo, Antonio apre il Jerry Thomas Speakeasy assieme ad altri tre bartenders romani: Roberto Artusio, Leonardo Leuci e Alessandro Procoli.

“Non ho mai lavorato per soldi o per il successo, ma per imparare e tutte le esperienze che ho fatto sono state importanti perché tutte mi sono servite a crescere. Quelle più significative sono quelle attraverso le quali capisci che stai facendo un errore ed è il modo in cui reagisci a quelle sensazioni che costituisce la crescita creativa. Certo, New Orleans e New York sono state esperienze importanti e forse le più sensazionali, ma ad oggi ciò che mi gratifica di più è  pensare che siamo riusciti a riportare a Roma tutto il bagaglio acquisito in giro per il mondo e farlo diventare vincente”. 

Chi è secondo te il bartender

Un oste prima di tutto, un master of ceremony, colui che guida il suo ospite ad avere un’esperienza indimenticabile, ogni volta diversa.

Qual è secondo te il bere miscelato italiano? E l’aperitivo italiano?

Guarda si dice che in Italia la mixology non abbia mai preso piede se non a partire dagli anni Trenta con gli americani. In realtà noi abbiamo sempre avuto i nostri cocktail pronti in bottiglia per fare l’aperitivo. Se penso che il cocktail è alcool, acqua, zucchero e bitter, allora vuol dire che un Vermut è esattamente un cocktail perfetto. Come tutti gli aperitivi a base di vino italiani d’altronde, dai vini di genziana d’Abruzzo ai rosoli piemontesi, così come gli aperitivi a base di acquavite che invece si svilupparono di più nella provincia di Milano. 

Qual è secondo te il trend del momento nella mixology?

Oggi la mixology è inficiata da tanta cattiva informazione, nel senso che si cerca di fare copia e incolla di tante cose che non vengono fatte bene e si ha un’estrema ammirazione di quello che fanno gli altri senza pensare alla forte tradizione che abbiamo in Italia. Il trend giusto sarebbe quello di carpire dalla tradizione a tutti i livelli. In generale, in questo momento vanno molto le fermentazioni ma è un mondo pericoloso perché se vuoi lavorare bene devi avere un laboratorio dal momento che si possono facilmente sviluppare contaminazioni batteriche importanti. Se guardiamo alle classifiche dei migliori bar al mondo, avere uno stile internazionale in questo momento vuol dire avvicinarsi al mondo delle fermentazioni. Io penso però che il classico debba essere imparato e preservato senza un’eccessiva innovazione soprattuto nel rispetto della nostra professione.

Cosa pensi dei cocktail a bassa gradazione alcolica?

Già da qualche anno collaboro con alcuni chef al concetto del food pairing con i cocktail ed è fondamentale avere dei low alcool cocktail perché se un menu degustazione ha sei o più portate la gente l’ammazzi (sorride). Sono passato dal fare delle piccole porzioni di cocktail normali fino ad arrivare a delle porzioni più grandi ma con meno alcool. Non sono contrario ai drink a basso contenuto alcolico, ogni prodotto deve trovare il suo spazio. Noi lavoriamo anche sui cocktail analcolici. Noi siamo osti e dobbiamo far stare bene i nostri clienti.

Quanto sono importanti il ghiaccio e il bicchiere?

Il ghiaccio è uno degli elementi più importanti. Mai prenderlo sotto gamba. A me piace il pezzo di ghiaccio irregolare tutto spigoloso. È molto più emozionante. Da proprio l’idea della bellezza dell’imperfezione. 

Un tuo Signature Cocktail?

Da dieci anni il best seller al Jerry Thomas è l’Improved Aviation, un twist sull’Aviation, un cocktail con Gin, succo di limone, maraschino e Crème de violette. Io ho sostituito il maraschino con uno sciroppo di lavanda e ho poi chiuso il tutto con un bitter alla rosa canina. 

Quando fai delle consulenze, come crei la cocktail list?

Una volta capito il target che si vuole raggiungere mi piace lavorare in team, lasciando che ogni componente del gruppo abbia il suo processo creativo.

A che punto sei della tua vita?

Mi aspetto ogni giorno qualcosa di sorprendente. Sono pronto ad essere sorpreso.

Charles Flamminio, Gineria Illegale Rimini
Charles Flamminio

La sua passione per questo mestiere comincia a 15 anni, al Real Pub di Campomarino, in Molise. Qui impara i grandi classici da un barman che aveva lavorato all Du Lac et Du Parc sul Lago di Garda. Dopo alcuni anni in Costa Smeralda, si dedica al mondo della notte, ma la sua passione più grande è sempre stata la mixology. La strada verso il successo inizia a delinearsi al Grand Hotel di Rimini e successivamente al Casablanca, il cocktail bar dell’hotel in centro città. Il 2011 è l’anno dei grandi viaggi e delle esperienze a contatto con i mixologists più famosi del mondo. Ed è proprio in questo periodo che Charles diventa famoso per l’utilizzo di tè e i infusi nei cocktail. Oggi è il Bar manager della Gineria Illegale di Rimini. 

Chi è secondo te il bartender?

Non è un farmacista o un chimico. Il vero bartender dev’essere un vero professionista con un grande capacità di accogliere l’ospite. 

Qual è secondo te il bere miscelato italiano? E l’aperitivo italiano?

Quello che va per la maggiore è lo Spritz anche se io sono più per i classici, come l’Americano e il Negroni. Ma non dimentichiamo il Vermut, il vero aperitivo italiano. Pensa che io ho dedicato moltissimi Spritz a questo prodotto. In carta ho tantissimi Vermut: 28 rossi, 31 bianchi e 11 dry. 

Qual è secondo te il trend del momento nella mixology?

In questo momento vanno moltissimo i Mezcal e i Whisky anche se io preferisco i Gin. Al di là dei trend, ciò che per me è importante è insegnare ai clienti a bere i classici fatti bene con prodotti di qualità.

Cosa pensi dei cocktail a bassa gradazione alcolica?

Questi cocktail nascono perché molti bar avevano le licenze bianche, quindi potevano fare dei cocktail fino a 21 gradi e non potevano vendere superalcolici. Oggi sono perfetti per il food pairing.

Quanto sono importanti il ghiaccio e il bicchiere?

Il ghiaccio è fondamentale, così come la temperatura di servizio. Il bicchiere è così importante che i bar ormai personalizzano le forme per servire dei cocktail unici.

Un tuo Signature Cocktail

I drink che amo fare sono molto semplici e con prodotti di nicchia che trovo in erboristeria, in piccole cantine o piccole aziende. Sono cocktail biologici, gluten free, a Km 0 e mi sono specializzato su infusi e brodi alcolici, che sono andato a studiare a Chicago. I miei cocktail preferiti sono sempre i classici, Americano o Gin Tonic, e in particolare amo il 127 di Chartreuse, che è il Moscow Mule con Chartreuse Gialla.

Quando fai delle consulenze, come crei la cocktail list?

Guardo prima la vecchia drink list, poi mi relaziono con il proprietario per capire i suoi bi

sogni e poi cerco sempre di introdurre prodotti homemade, perché credo che ogni locale debba lavorare con prodotti a Km 0 e prodotti tipici, che rendono unica la sua offerta.

A che punto sei della tua vita?

Io sono all’inizio. Sono in un momento buono e sono contentissimo di poter imparare ancora tanto. Ogni giorno escono prodotti nuovi da tutto il mondo. Ciò che è importante per me è portare le novità ai nostri clienti per renderli felici.

Remo Pizzolito, Bartender
Remo Pizzolito

Tutto ha inizio in un chiosco in spiaggia per pagare gli studi, poi il periodo all’Hotel Greif di Corvara nel quale dopo quattro anni Remo Pizzolito diventa capo barman. Negli anni Ottanta apre il suo primo locale, il Bellini a Latisana, un nome scelto per la grande passione per questo drink, nata grazie al bellissimo rapporto con Ruggero Caumo, il barman dell’Harry’s Bar che servì Hemingway e Aga Khan. Negli anni Novanta prende in gestione il Bar Sole di Lignano che diventa il Bellini Sole. Dopo un periodo trascorso a New York, Remo rientra in Italia e oggi si occupa di consulenze per importanti locali italiani. 

Chi è secondo te il bartender?

Non è quello più bravo, ma è quello che fa stare bene e che fa sentire il cliente speciale. Le tecniche si imparano ma l’importante è creare emozioni nel cliente. In questo modo fidelizzi i clienti perché loro si fidano di te. Bisogna essere un pò psicologi. 

Qual è secondo te il bere miscelato italiano? E l’aperitivo italiano?

Negli ultimi anni si era un pò perso il vero bere miscelato italiano. Ora invece fortunatamente c’è un ritorno alla tradizione, alle origini. A mio parere l’Americano è l’aperitivo italiano per eccellenza, ma anche il Negroni.

Qual è secondo te il trend del momento nella mixology?

Infusioni, chiarificazioni, fermentazioni. Chi più ne ha più ne metta. Se hai un laboratorio, hai vinto. È vero che bisogna sapersi adattare ai nuovi trend ma io rimango fedele ai classici. Ben fatti. 

Cosa pensi dei cocktail a bassa gradazione alcolica?

La gradazione alcolica segue le mode, è uno di quei fenomeni che vanno e vengono.

Quanto sono importanti il ghiaccio e il bicchiere?

Sono fondamentali. Se vuoi lavorare bene con il ghiaccio e non hai quelle macchine co

stosissime, te lo devi fare a mano. Allo stesso modo, se sbagli il bicchiere, il cocktail che servi ha meno valore.

Un tuo Signature Cocktail?

Il tè di Remo: Gin infuso al tè al bergamotto, limone, zucchero e albumina, e due gocce di angostura. 

Quando fai delle consulenze, come crei la cocktail list?

Prima vedo il locale e la gente che lo frequenta. Poi parlo con i proprietari e cerco di capire il livello al quale aspirano e il target che vogliono coinvolgere.

A che punto sei della tua vita?

All’inizio! Non si finisce mai di imparare o di conoscere tutti i prodotti. Ma per me è importante il metodo di lavoro. Come poter lavorare meglio. Il bar lo considero come una cosa viva, deve dare emozioni. Vedo il barman di oggi molto alla moda, ma non vedo il barman vero. Quello che mi interessa quando entro in un bar è stare bene perciò le prime due parole che mi dici per me sono essenziali. Prima accoglimi, solo dopo stupiscimi. 

Matteo Battiston, Cloakroom Treviso
Matteo Battiston

La passione di Matteo Battiston per questo mestiere comincia al Bellini di Latisana di Remo Pizzolito. “Ai tempi non si parlava di mixology ma era tutto improntato sull’accoglienza del cliente” mi spiega. Successivamente si trasferisce a Londra e lavora per Cipriani. Sono anni di studio e formazione. Nel 2017 lo contatta Samuele Ambrosi con il quale apre il The Cloakroom di Treviso.

Chi è secondo te il bartender?

Un confidente, uno psicologo. Difficilmente vai in un bar dove non parli con il barista. Il barman è l’amante del cliente.

Qual è secondo te il bere miscelato italiano? E l’aperitivo italiano?

Se io penso al miscelato italiano penso all’aperitivo, che è il simbolo dell’italianità. L’Americano e il Negroni fanno da padrone ma fortunatamente stiamo riscoprendo il Vermut. Noi vivevamo in una bolla perché quando all’estero pensavano alla miscelazione noi con il Vermut avevamo già tutto.

Qual è secondo te il trend del momento nella mixology?

La tendenza degli ultimi anni è quella di proporre la propria cocktail list, non sei copiabile e di conseguenza la gente se vuole bere quel dato drink deve tornare da te. Puoi giocare dalle affumicature, alle sferificazioni, alle infusioni utilizzando qualche ingrediente poco conosciuto. Così il gioco è fatto perché crei curiosità nel cliente. Il Mezcal è un prodotto che sta riscuotendo successo anche se fa fatica ad emergere perché ha un prezzo molto elevato rispetto ad esempio al Rum.

Cosa pensi dei cocktail a bassa gradazione alcolica?

A parer mio sono una moda, forse avranno successo nelle grandi città. Io personalmente non ho ancora avuto richieste di questo tipo.

Quanto sono importanti il ghiaccio e il bicchiere?

Il ghiaccio è tutto. Il bicchiere fa gran parte della bevuta. Ricordiamoci che prima beviamo con gli occhi e poi con la bocca.

Un tuo Signature Cocktail?

Direi il Stephen, una rivisitazione di un Whiskey and Soda: viene fatta una lunga infusione di un tè ai frutti rossi e uvetta in un Whiskey americano. L’infusione viene poi lavata nel latte (milk washing) e lasciata riposare con aggiunta di limone. Successivamente elimino il caglio che si è separato tenendo solo il whiskey arricchito del grasso del latte. Infine allungo con una soda aromatizzata al miele e all’acqua ai fiori d’arancio. 

Quando fai delle consulenze, come crei la cocktail list?

Sicuramente prendo in considerazione il locale e i clienti ma anche le stagioni per la creazione di cocktail stagionali: dalla frutta in estate, alle spezie in inverno. Mi piace introdurre sempre delle novità. 

A che punto sei della tua vita?

Sono agli inizi e c’è ancora molto altro da fare. Sono vent’anni che lavoro in questo settore ma non mi sento arrivato da nessuna parte. 

Simone Maion, Mr Simon Udine

Da un piccolo pub di Udine, alle esperienze di studio e lavoro a Londra, fino agli anni trascorsi a lavorare come bartender per Joe Bastianich da Orsone a Cividale del Friuli, ma anche nei suoi locali di New York: quella di Simone è stata una vita ricca di stimoli. Ecco perché nel 2015 decide di utilizzare quando appreso nella Grande Mela e di mettersi in proprio aprendo il BU.CO. (Burger and Cocktails) con la grande idea di inserire al suo interno uno Speakeasy, il Mr Simon, ispirandosi al Please Don’t Tell newyorkese. A quel tempo i secret bar in Italia non erano molti e si trovavano perlopiù nella grandi città italiane.

Cos’è il Mr. Simon?

Simone Maion e i suoi soci

Mr Simon è il primo secret bar di Udine, un cocktail bar dove si entra solo se si conosce l’indirizzo e il codice di accesso da digitare sul vecchio telefono appeso fuori dal locale: non esiste un vero ingresso, non esiste insegna ma solo un’anonima porta nascosta. Il locale interno con luci soffuse, specchi e velluti colorati evoca le atmosfere rilassate e bohémien del Grande Gatsby, ed è un progetto di Visual Display, lo studio udinese specializzato in retail design.

“Ho sempre pensato al Mr Simon come ad una coccola per i nostri clienti più affezionati. – mi spiega Simone – Quest’anno con il Covid però ci sono state delle modifiche. Ad esempio, abbiamo sostituito il divano conviviale non più utilizzabile con dei posti a sedere e punteremo di più sulla cena. Abbiamo già creato il nuovo menù in cui abbiamo inserito tante chicche, ad esempio l’hamburger di Wagyu A5, il Lobster Roll e gli Spring Roll rivisitati in chiave occidentale. Ovviamente amplieremo anche la carta dei vini, anche se proporremo comunque in abbinamento al piatto un cocktail in degustazione”.

Chi è secondo te il bartender?

Il barman è bravo nel momento in cui capisce le tue esigenze e per qualche minuto o qualche ora diventa un tuo amico nel senso che ti fa stare così bene che è in grado di farti rilassare totalmente. Dobbiamo essere degli psicologi.

Qual è secondo te il bere miscelato italiano? E l’aperitivo italiano?

Se noti stanno andando molto gli amari e le grappe in miscelazione in questo momento. Però se penso al bere miscelato italiano e all’aperitivo mi vengono sicuramente in mente il Vermut e l’Americano. Finalmente forse abbiamo abbandonato lo Spritz.

Qual è secondo te il trend del momento nella mixology?

La moda del momento è il cercare di allontanarsi dai cocktail classici, riuscendo a creare dei sapori diversi con ingredienti che possano stupire i clienti. Il mio obiettivo quest’anno è quello di far comprendere ai clienti che si può bere i drink anche pasteggiando.

Cosa pensi dei cocktail a bassa gradazione alcolica?

Secondo me è una moda che non durerà molto, al di fuori del food pairing. La mia sensazione è che si tornerà al bere più semplice e tradizionale. Ai famosi anni Novanta con una ricerca più approfondita del prodotto di qualità.

Quanto sono importanti il ghiaccio e il bicchiere?

Importantissimi. Il ghiaccio noi lo facciamo in casa, lo tagliamo noi. Le temperature di servizio però sono fondamentali. Un cocktail caldo e annacquato è inservibile. 

Un tuo Signature Cocktail?

Il Neguroni, un Negroni fatto con un Vermut infuso ai funghi porcini. Qualcosa di semplice ma diverso.

Quando fai delle consulenze, come crei la cocktail list?

La creo in base alle richieste che mi fanno i clienti. Piuttosto di inserire ciò che piace a me, preferisco ascoltare i desideri dei clienti. Se mi chiedono un determinato drink che non è in carta, inizio a proporlo anche ad altre persone per vedere se può funzionare. Cerco di inseguire le mode ma tenendo sempre presente i gusti dei clienti. 

A che punto sei della tua carriera?

Spero di essere all’1%. 

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Articolo realizzato per il numero di Novembre 2020 di Genius People Magazine: https://www.genius-online.it/product-page/copia-di-anteprima-genius-15-sett-ott-2020?lang=it

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