“Nel mio mestiere dimenticare le proprie origini è un “peccato mortale”, un gesto di superbia che preclude anche la possibilità di scoperte future. Ricordiamocelo, ricordatevene”.
Il successo di Gennaro Esposito
Lo chef Gennaro Esposito, patron del ristorante due stelle Michelin Torre del Saracino, a Vico Equense, è considerato uno dei cuochi più importanti per la rinascita della cucina gastronomica della Campania.
Si avvicina alla cucina a quindici anni, dividendosi tra le lezioni alla scuola alberghiera e i fine settimana passati nelle cucine delle trattorie del suo paese. A quell’età sapeva già che avrebbe fatto il cuoco. “Era il novembre del 1991 e l’unica certezza che avevo era che non avrei fatto le stesse cose che facevano decine di ristoranti della Costiera. I quattro anni successivi sono fatti di lavoro, lavoro e lavoro, in attesa che accadesse qualcosa che potesse essere definito “la svolta”.
E’ a questo punto che arrivano per Gennaro quattro durissimi mesi di stage da Gianfranco Vissani, fondamentali per capire che la cucina che aveva immaginato era di possibile realizzazione. Nascono allora o subito dopo alcuni piatti che hanno fatto la sua fortuna e che gli hanno dato visibilità nel panorama nazionale, come, ad esempio, la Parmigiana di pesce bandiera o la Zuppetta di ricotta di fuscella con le triglie. “Il mio stile di cucina è rimasto questo: pescare dal territorio e costruire piatti che soddisfino i sensi e la mente dei miei clienti”.
Il 2001 è una pietra miliare della storia di Gennaro Esposito: la prima stella Michelin e l’esperienza con Ducasse al Le Louis XV a Montecarlo ed al Plaza Athénée a Parigi. “In Francia ho imparato che nel mio mestiere gestire il binomio – genio e sregolatezza – non funziona. I risultati sono figli di un ordine mentale che prevede, sì, la creatività ma che si traduce in rigore e disciplina, tutto ben dosato come gli ingredienti di un grande piatto”.
Nel 1999 Gennaro entra a far parte dell’Associazione dei giovani Ristoratori d’Europa, nel 2003 è arrivato il riconoscimento delle Tre Forchette del Gambero Rosso e nello stesso anno riesce a realizzare una manifestazione nel suo paese diversa da tutte le altre: la Festa a Vico che richiama a Vico Equense chef affermati e giovani promesse, per cucinare tutti insieme piatti per migliaia di ospiti che affollano la splendida cornice della cittadina e della Marina di Seiano. “Partimmo in 11 ed oggi siamo oltre 250 tra chef nazionali ed internazionali”.
La seconda stella Michelin arriva nel 2008. Nel 2011 il congresso gastronomico Identità Golose ha nominato Gennaro Esposito “Migliore Chef Italiano dell’Anno” e la guida del ”Gambero Rosso” lo inserisce tra i primi tre chef Italiani.
Il 2014 parte una nuova avventura: l’apertura del ristorante “Mammà” a Capri, che riceve la sua prima Stella Michelin appena l’anno successivo. Nel 2015 ad Ibiza inaugura IT, da subito luogo di ritrovo per appassionati e proprio in quel periodo viene contattato da Sky per partecipare come giudice a Junior Master Chef 2016. Dal 2017 è giudice nel programma televisivo “Cuochi d’Italia”, prodotto da Sky Italia e trasmesso su TV8. Nel 2019, Gennaro Esposito sbarca a Milano con l’apertura del nuovo IT in Brera che nello stesso anno ha conseguito una stella Michelin.
L’intervista
Ciao Gennaro, come sono andati questi mesi dopo la ripresa?
Devo dire che tutta.la credibilità che abbiamo costruito in questi anni ci ha premiato in questi mesi così difficili. I nostri clienti infatti sono per la maggiori parte persone del luogo che hanno creduto in noi da sempre. E questo mi ha fatto capire che chi ha costruito un contenitore solo per stranieri più o meno facoltosi allora logicamente è in difficoltà. Oggi le persone cercano contenuti veri che possono essere la cucina, il servizio, il fattore umano. Noi italiani siamo così. Io ad esempio ho ricevuto una marea di critiche perché sono mancato una settimana per motivi di lavoro televisivo. Noi italiani amiamo andare delle persone e vogliamo che le persone si prendano cura di noi. E quindi chi aveva qualche problema prima oggi ne ha infinitamente di più, chi ha investito invece sulla propria identità, sulla sicurezza e il comfort, allora viene premiato.
Come hai vissuto i mesi di fermata obbligatoria?
Guarda innanzitutto mi sono portato dietro tante delusioni perché molte delle cose che abbiamo costruito in questi anni sono state dissolte giorno dopo giorno. Si è trattato di una situazione che non è dipesa da noi ovviamente ma non riusciamo ancora a capire cosa succederà. Questa incertezza forte crea un nuovo sentimento di paura, non riesco a vedere troppo in là. D’altra parte io ho perso davvero tantissimo perché avevamo una serie di eventi internazionali bellissimi. E mentre stavo in casa a godermi i bambini e la famiglia, fioccavano le disdette, si faceva strada una consapevolezza che quella situazione non sarebbe finita presto.
Poi le immagini strazianti che abbiamo visto tutti in tv, cominciavamo a realizzare che non era uno scherzo. Io sono veramente andato in paranoia, mi sono rattristito, rabbuiato. Devo dire che la mia famiglia e mia moglie sono stati davvero bravi a capire come mi sentivo. Sapevo che il 2020 poteva essere il mio anno in assoluto. Poi non riuscivo nemmeno a concentrarmi su un possibile nuovo menù, perché tutte queste cose legate alla creatività anno bisogno di ottimismo, di positività.
Come sono cambiate le cose in questi mesi?
La gente ha risposto benissimo. Io non me l’aspettavo così tanto lavoro. Bisogna anche dire che se domani apri un negozio nella tua città, la gente pretende da te tanto di più perché hai costruito una credibilità molto forte e le persone non ti perdonano nulla. Io ho percepito questo: da un lato l’affetto sensazionale dei nostri clienti storici, dall’altro invece l’arrivo di nuovi clienti curiosi che siamo riusciti ad avvicinare. Io ho visto i miei ragazzi terrorizzati prima dell’apertura, abbiamo lavorato molto proprio sulla parte psicologica. Ancora oggi sono assai prudenti, per loro e per i nostri clienti. Noi sicuramente oggi dobbiamo essere più concreti, dobbiamo avere chiari i nostri obiettivi.
Io quando stavo a casa e non si poteva uscire, mi chiedevo, ad esempio, domani che si può uscire dove porto a mangiare la mia famiglia? E pensavo che l’unico posto in cui avrei portato la mia famiglia è La Torre del Saracino. La sensazione di andare in un posto dove c’è professionalità e una mentalità che ricerca la qualità è quella che ti porta in un posto o meno. E quindi penso che un sacco di gente ha pensato la stessa cosa perché siamo pieni da quando abbiamo riaperto.
Diciamo che i posti dove non c’è veramente un motivo per andare faranno fatica a riprendersi. Molti posti si devono reinventare. Quindi si come dicevi tu, avere un ristorante, non è né un gioco, né un passatempo e oggi devi chiederti ancora di più: “perché la gente deve venire da me?” E se non hai due o tre motivi validi ci devi pensare bene prima di aprire.
Cosa diresti ad un Gennaro Esposito di vent’anni?
Gli direi semplicemente di seguire il suo sogno e di fare in modo che si avveri. Gli direi di spingere sulla motivazione perché quella è una strada interessante dal punto di vista dei contenuti. Perché quello che immagino io non può essere quello che immagini tu. Perciò se io ti regalo la mia immaginazione che si concretizza in un locale tu vivrai un’esperienza unica e diversa. È importante partire con l’idea di non volere assomigliare a nessuno. Oggi anche questo discorso dell’omologazione è pesante. E poi direi di puntare sulla qualità che è l’unica strada vincente. Sempre e comunque.
Invece cosa diresti ad un giovane futuro cuoco?
Beh direi le stesse cose. In più di alimentare la creatività, di fare stronzate, di studiare, di non prendersi troppo sul serio e soprattutto di sentirsi addosso il merito. Se non ti senti il merito veramente può anche essere una cosa passeggera. Devi costruire sulla cultura e sui valori e sarà tutto più credibile per te stesso oltre che per gli altri. Cioè se ti dicono che sei brava, devi credere che lo sei. Senza nessun dubbio. Inoltre gli direi di ascoltare i clienti perché mi ha sempre ripagato.
Quando parli con le persone senti chi ti sta dicendo qualcosa perché ti vuole bene, oppure per rompere o perché vuole darsi importanza. Se riconosci chi ti vuole bene, devi accettare e riflettere molto su quello che ti ha detto. E poi seguire comunque la tua strada. Perché ogni luogo è diverso e quindi quello che vale qui magari non vale da un’altra parte.
Una cosa però è certa, se tu dai qualcosa di emozionante, la capacità di emozionarsi vale per tutti. E quindi puoi trasformare un mercato debole in un grande mercato. Può succedere che puoi portare il mondo anche in un posto dimenticato da Dio se riesci ad emozionare. E questo vale più di ogni altro tipo di comunicazione perché tocchi i sentimenti e le emozioni. Ad esempio se io ti parlo di un posto in cui sono veramente stato bene, te ne parlerò trasferendoti delle energie molto particolari e tu ci vorrai andare. Le immagini e i video non ti colpiranno mai come la vita vera.
Gennaro, come cuoco a che punto sei della tua vita?
La cucina è un territorio enorme, troppo grande e quasi inesplorato nonostante tutte le conoscenze. E poi è così sfuggente in cui tutto è il contrario di tutto. Una volta ricerchi la semplicità, poi la complessità e poi ti rimangi tutto. Mii piace sempre pensare alla cucina come ai numeri del Superenalotto e quindi al nuovo piatto come ad una nuova combinazione vincente e quindi capisci bene che ci sono infinite combinazioni e possibilità. Ma poi ci sono i prodotti: se tu mischi prodotti e cucina, le possibilità diventano ancora maggiori e di prodotti ne conosciamo sempre di nuovi. Eppure l’Italia non è grandissima.
Infatti ogni volta che vado in un nuovo ristorante imparo sempre qualcosa di nuovo e ricerco continuamente proprio questo. E come quando cominci a cercare una parola nel dizionario che poi ti rimanda ad un’altra e ad un’altra ancora.
Beh questa è la mia nuova ossessione. Io sono talmente ignorante che addirittura parto da una parola tipo “alimenti” e mi dico “che cosa vuol dire veramente?” Poi quando la cerchi e vedi da dove deriva, ti vai a infilare in un tunnel di altre cose. Noi oggi non sappiamo i significati delle parole e le usiamo male. Ad esempio io ho chiamato un evento che facciamo a Vico “Sostanze” perché “sostanze” ci dà l’idea di sostanze tossiche, nocive, ecc. Ma se tu cerchi questa parola significa esattamente quello che volevo dire e io non lo sapevo e cioè “tutto ciò che sta sotto e che dà la base a quel determinato prodotto”.
E quindi la cucina è un pò questo e sicuramente ancora di più. Quindi a che punto sto? Beh vedi sto incasinato perché mi perdo continuamente. E chiaro che ora devo ragionare in maniera concreta e responsabile perché ho un’azienda e dei dipendenti ma dall’altra mantengo viva la curiosità. Ad esempio faccio un programma tv che mi permette di continuare a scoprire gli ingredienti. Per questo da tre anni faccio “Sostanze” qui a Vico, così posso portare alle persone le mie esperienze.
Oggi vedo poca curiosità da parte di tanti colleghi, ed è incredibile perché se fai il cuoco il tuo principale compito è fare la spesa bene. Il prodotto per me è importantissimo. Comunicare al giorno d’oggi è diventato più importante che cucinare. E questo non è un bene. E poi comunicare cosa se non hai nulla da dire? O hai qualche informazione interessante e formi gli altri, oppure è meglio che stai zitto.
Gennaro, prima dicevi che è importante credere in se stessi, quali sono stati i momenti in cui hai capito che eri nella direzione giusta?
Questo si allaccia al discorso della comunicazione. In questo scenario dove molti primeggiano senza un vero motivo, se tu non credi fermamente in te stesso, finisci per andare in paranoia. Quindi devi essere forte, devi studiare certo, ma devi essere consapevole che quello che fai è il meglio di quello che puoi offrire. Non puoi seguire la moda. Devi aver chiaro quello che sei e dove vuoi arrivare.
Un piatto che è stata la svolta nella tua carriera?
Sono un pò di anni che mi posso permettere di fare quello che voglio. E tanti piatti, quando li crepo, so esattamente che potranno dividere il tavolo e poi diventa anche divertente e provocatorio. Dopo tante ore in cucina io non vedo l’ora di andare al tavolo a vedere cosa succede. E poi ci sono delle volte in cui fai dei piatti più semplici. Sono fasi e momenti. Però se ci penso mi viene in mente un piatto a cui sono particolarmente legato: uno più violento ma anche materico e didattico, era una seppia pulita con una tecnica particolare, cotta intera per un’oretta in un tegame di coccio. La seppia arrivava come se fosse cruda ma era perfettamente cotta con tutte le interiora. Aveva una bella intensità di sapore. Però c’era un momento in cui, quando la servivo e la tagliavo, i clienti senza molta esperienza rimanevano un pò scioccati.