Origini romane e calabresi, una grande famiglia, sei figli e un padre che ama cucinare. Giuseppe Di Iorio, scopre la cucina così, nel cuore della tradizione italiana. Dopo la Scuola Alberghiera a Roma, entra nel Ristorante Margutta, quindi è a Londra, al prestigioso Hyde Park Hotel, sotto la guida di Giuseppe Sestito. Al ritorno nella Capitale, entra nell’alta ristorazione alberghiera, dall’Hotel Inghilterra al Parco dei Principi. Nel 2005 raggiunge Giuseppe Sestito al ristorante Mirabelle, una stella Michelin, sulla terrazza dell’Hotel Splendide Royal. Dal 2010 è alla guida del Ristorante Aroma, magnificamente posizionato all’ultimo piano dell’elegante hotel cinque stelle Palazzo Manfredi a Roma.

Finalmente da voi, com’è andata la quarantena?
All’inizio è stata una botta tremenda perché noi abbiamo davvero chiuso da un momento all’altro. Tutti pensavamo di essere intoccabili ma poi all’improvviso ci è caduto il mondo addosso. È stata davvero dura accettare questa situazione, perché poi non avevamo più certezze. Poi se ci pensi per noi qui a Roma i mesi più importanti sono maggio e giugno e ce li siamo giocati. All’inizio c’è stato davvero uno scoraggiamento totale e la situazione non era per niente buona. Qui da Aroma avremmo dovuto anche fare la festa dei dieci anni, il 5 aprile. Avevo programmato almeno tre giorni di piatti signature che hanno caratterizzato il successo di Aroma. Poi ecco oltre alle questioni di lavoro per me è stato davvero terribile affrontare tutto a livello mentale e umano perché noi abbiamo delle responsabilità anche nei confronti dei nostri ragazzi.
Come vi siete organizzati in vista della riapertura?
Beh innanzitutto abbiamo deciso di modificare la nostra offerta ridimensionando il numero dei piatti all’interno del menù. Sicuramente per contenere i costi, ma anche perché la nostra brigata si è dimezzata. Pensa che abbiamo chiuso in dodici e ora siamo in sei. E anche vero che prima facevamo anche il pranzo e ora non lo facciamo più perché non ci sono più i pranzi di lavoro o eventi. In secondo luogo, per quanto riguarda i prodotti, prediligo ancora di più quelli italiani. Se ci pensi noi dobbiamo davvero salvaguardare la nostra materia prima che è unica al mondo. A me piacciono i piccoli fornitori e voglio fare in modo di proteggerli perché molti di loro non sono riusciti a superare questa crisi. Infine, mentre prima puntavamo a regalare un’esperienza a 360° gradi con una cura quasi maniacale del cliente, oggi invece non è più possibile perché bisogna mantenere le distanze e alcuni clienti hanno davvero paura quando entrano qui. La testa delle persone è davvero cambiata, alcuni non danno proprio confidenza e sono restii a lasciarsi trasportare da noi. Poi devi pensare che noi lavoravamo praticamente solo con stranieri, ora abbiamo tanti nuovi clienti romani e italiani che si sono avvicinati a noi con i dining bond. Ma la maggior parte di loro non tornerà una seconda volta.
Ad oggi, quali sono le tue preoccupazioni?
Noi abbiamo avuto la possibilità di riaprire il 18 maggio ma noi abbiamo preferito aspettare luglio. Qui a Roma praticamente hanno riaperto a maggio solo quei ristoranti che devono pagare l’affitto delle mura perché oggi come oggi quando dico che devi contenere i costi vuol dire che bisogna davvero sopravvivere, tutto quello che si può guadagnare va bene. Oggi è così. Sappiamo che quest’anno è davvero tutto compromesso. Io posso essere fiducioso, non voglio che nessuno dei ragazzi mi veda giù di morale ma bisogna essere consapevoli che quest’anno la stagione sarà totalmente diversa dall’anno scorso. E poi il terrorismo psicologico sulla possibile seconda ondata, questo influisce sulle persone che preferiscono non spostarsi più fino all’anno prossimo.
Raccontami del nuovo menù..
C’è una rivalutazione delle materie prime italiane poco conosciute perché mai come oggi dobbiamo fare informazione e formazione. Ad esempio, pochi sanno che nei mari italiani abbiamo più di 180 tipi di pesci. Stasera abbiamo il pesce castagna ad esempio, le triglie di scoglio o il merluzzo di Piombino. È fondamentale però far capire alle persone che noi spingiamo un prodotto perché per noi è importante far conoscere qualcosa di nuovo e non perché l’abbiamo pagato poco. E poi oltre a ridurre il numero dei piatti, ho deciso di cambiare il menù mensilmente. Molti nostri clienti vengono più volte al mese ed è giusto che possano provare ogni volta nuove creazioni.

Dal punto di vista professionale a che punto sei della tua vita?
Beh professionalmente, io dico sempre che il miglior piatto della mia vita lo devo ancora creare. Però dai, seriamente, io sono felice perché quando penso che quando avrò dei nipotini sicuramente avrò qualcosa da raccontare. Questo è un lavoro meraviglioso, mi ha permesso di girare il mondo, di conoscere tante persone. Ho cucinato per la Regina Elisabetta, per George Bush, per Woody Allen e per tanti altri personaggi famosi. Insomma qualcosa da raccontare c’è.
Cosa diresti a tutti coloro che vogliono intraprendere questa carriera?
Di lasciare perdere la figura dello chef che abbiamo oggi nell’immaginario collettivo, questo è un lavoro duro e bisogna fare tanti sacrifici. Oggi sembra quasi che la figura dello chef abbia sostituito la figura del calciatore. Invece è importante investire su se stessi, stiamo vivendo un momento storico unico. E poi ho paura che il peggio debba ancora arrivare: pensa a quando finiranno gli incentivi dello Stato. Devono mettersi in testa che senza sacrifici e senza passione questo lavoro non si può fare. Però allo stesso tempo dico che questo è il lavoro più bello del mondo. Sono contento del mio percorso. Non potevo scegliere una strada più bella. Io durante le ore di lavoro mi sento il padrone del mondo e niente può fermare la mia creatività.
