Intervista allo Chef Francesco Sodano del ristorante Il Faro di Capo D’Orso di Maiori (Salerno).
Come stai vivendo le tue giornate?
Il nostro mestiere ci impegna tante ore al giorno e ora a casa ci sentiamo davvero chiusi in gabbia. Mi sto dedicando allo studio e alla creazione di nuove idee anche se in realtà noi eravamo già pronti. Siamo un ristorante stagionale che lavora 8 mesi l’anno e quindi da ottobre a marzo lavoriamo per la nuova stagione.
Quali sono le vostre preoccupazioni?
Beh, la nostra relativa fortuna è che noi eravamo già fermi quindi il nostro danno riguarda solo i mancati profitti che avremmo fatto in questi mesi persi. Il nostro lavoro è associato anche al meteo, se c’è il sole da noi si inizia a lavorare prima. La Costiera muore da quando cambiano le giornate essendo molto legata al turismo. Noi però essendo nella zona di Maiori forse siamo messi un pò meglio perché lavoriamo anche tanto con i locali e con le persone che vengono da Napoli e da Salerno. Quindi se pensiamo che la gente quest’anno dovrà rimanere qui magari riusciamo lo stesso in qualche modo a lavorare anche se realisticamente non lo sappiamo. Siamo impazienti di ricominciare, abbiamo tanta voglia di fare.
Avete pensato di modificare il vostro menù?
La nostra struttura è suddivisa in tre fasce. Noi abbiamo un Bistrot, un terrazzo dove facciamo una cucina classica partenopea, poi abbiamo la zona dedicata agli eventi e poi questa piccola realtà, il Faro, che si affaccia sul mare dove facciamo una cucina gourmet che difficilmente cambieremo. Non sono d’accordo sul fatto di modificare la propria identità. La nostra idea è quella di dare un’esperienza a 360 gradi e penso che alla gente manchi questo. Nel momento in cui apriremo non sarà tutto normale, sicuramente sarà strano ma credo che le persone si adatteranno alla situazione e cercheranno di trovare un modo per abituarsi. Ricevo moltissimi messaggi da persone che mi scrivono che vogliono venire da noi, sento questo sentimento da parte dei clienti. Il desiderio dei clienti è quello di tornare al più presto: sento ottimismo, sento calore, non vedono l’ora. Non abbiamo aderito alla progetto dei Dining Bond ma in questo periodo abbiamo già venduto quattordici cene. Questo ci fa capire che la gente è curiosa e ha voglia di festeggiare.
Come cambierà il settore della ristorazione?
Sicuramente c’è molta paura, questa emergenza economicamente ha fatto un buco enorme. Le piccole aziende nate da poco sicuramente avranno tantissime difficoltà. Noi siamo aperti da venticinque anni e abbiamo una gestione solida perciò molti soffriranno forse più di noi.

Quali sono le vostre priorità?
La nostra priorità è aprire. Con il Faro non abbiamo tanti problemi nel rispetto delle ordinanze perché il locale è già impostato per mantenere le distanze. Non facciamo un lavoro di massa. Non facciamo due turni. Ci sono ventotto posti e quelli sono. Eravamo già proiettati sulla sostenibilità ma non sono d’accordo sul ritorno alla tradizione. Noi dobbiamo mantenere la nostra identità, il nostro percorso. La gente cerca qualcosa di diverso dalla tradizione perché quella già la conosce. Lo percepisci quando le persone a fine cena ci raccontano della loro esperienza.
Raccontami dei tuoi piatti simbolo..
Credo che due o tre piatti debbano essere legati ad uno chef perché poi a me piace fare girare il menù. Un piatto che elaboravo già prima del mio arrivo: Linguine, crema di carote e garum, katsuobushi. Il garum in questo caso è in realtà una colatura di alici fermentata. Creiamo il garum partendo da una fermentazione che avviene tramite del riso koji inoculato con spore batteriche: in pratica andiamo a creare quello che è l’antenato della colatura di alici classica della costiera amalfitana. I garum si sono sempre fatti dall’epoca dei Romani. Noi abbiamo ripreso una tradizione antica utilizzando altre tecniche. Definisco la mia cucina di “contaminazioni” perché avendo vissuto tanti anni all’estero e avendo viaggiato moltissimo ho potuto imparare tante tecniche diverse. Importante è stato il periodo trascorso con Anthony Genovese che mi ha trasmesso questa mentalità. Un altro è Tra la Costiera e l’Oman, un risotto al limone nero, capperi fermentati e bottarga in cera d’api. È un piatto spinto che piace o non piace. Mi viene in mente anche la Triglia di scoglio, lattuga alla vaniglia, tamarindo, jus affumicato di midollo di vitello.
Vedo che ora stanno uscendo tutte questi discorsi legate alla sostenibilità ma per noi era già importante prima perché abbiamo sempre pensato che fosse coerente con la nostra filosofia. Lo stesso vale per l’attenzione alla materia prima ed è per questo che non lavoriamo con la grande distribuzione. Ad esempio ho una persona che produce la cera d’api solo per me. Le carni sono selezionate da me, noi abbiamo due camere di frollatura. Lavoriamo con pescato di fondo e pescato di amo ma il mio menù cambia in base alla disponibilità. C’è una stagionalità anche per il pesce. Lavoriamo tutto della materia prima senza buttare nulla. Per le farine ho scelto io una selezione di grani antichi campani. Noi non possiamo fare km0 per la nostra posizione, ma questo non mi vieta di utilizzare prodotti italiani certificati.
Qualche anteprima..
Quest’anno eravamo pronti per mettere una marcia in più. L’anno scorso abbiamo raggiunto bei punteggi e volevo spingere ancora di più. Ci saranno tecniche nuove, frollature estreme del pesce. Ripeto non c’è più nulla da inventare, ci si può ispirare ai grandi ma bisogna avere una propria identità. Mi piace molto giocare con i clienti. Mi viene in mente il Shave the chef, un disco di cioccolato con impresso il mio volto volto da spennellare con schiuma alla menta servita in un contenitore Proraso.
Vogliamo continuare su questo profilo e faremo dei regali così la magia continua anche il giorno dopo. Abbiamo studiato una nostra versione e abbiamo pensato al pane perché penso che è bello donare un pezzo di pane, è il gesto più povero che ci sia ma pieno di significato.
Un ultimo pensiero?
La prima cosa che vorrei è che in tutto il mondo la ristorazione torni ad essere quello che era prima. Sappiamo che quest’anno è perso ma dobbiamo lavorare per far tornare a funzionare le cose. Bisogna tenere duro e insieme andare nella stessa direzione.