Intervista doppia a questa giovane coppia che è riuscita a portare una nuova stella Michelin a Cortina d’Ampezzo con il loro San Brite
Alla scoperta del San Brite
Poco prima di Natale sono finalmente riuscita ad andare a trovare Ludovica Rubbini e Riccardo Gaspari nel loro San Brite, il locale neo-stellato che ha preso il posto dell’ex garage dei trattori della famiglia Gaspari e che si erge in tutto il suo splendore lungo la strada che sale verso il passo Tre Croci, dominando la valle vista Tofane.

Era da tempo che desideravo scoprire la cucina rigenerativa del San Brite ispirata alle antiche tradizioni di montagna e allo stesso tempo conoscere la storia di questa giovane coppia così lungimirante e intraprendente.
Tutto nasce dall’agriturismo della famiglia Gaspari in cui Riccardo e Ludovica hanno mosso i primi passi: El Brite de Larieto. Qui, da sempre, vengono impiegati esclusivamente i prodotti dell’azienda agricola di famiglia e viene proposta una cucina ispirata alle ricette tipiche ampezzane.
A queste due realtà vi si affianca poi il caseificio Piccolo Brite, aperto proprio all’interno del San Brite, dove si possono acquistare molti prodotti tra cui i formaggi, il burro di pura panna, gli yogurt di frutta, le ricotte e lo speck.

Non potevo scegliere giorno migliore per provare la cucina creativa e sperimentale di Riccardo e lasciarmi conquistare dall’ospitalità di Ludovica e dei ragazzi di sala. Giunta a destinazione mi è sembrato infatti di essere diventata la protagonista di una favola dei Fratelli Grimm: intorno a me la neve candida, bianca e soffice come lo zucchero filato scendeva delicatamente avvolgendo e circondando la natura e tutto era avvolto dal silenzio.

Quando mangio per la prima volta in un ristorante non apro mai il menù e lascio sempre allo chef l’opportunità di scegliere per me. Questa volta però non ho resistito perché volevo assaggiare assolutamente alcuni piatti di cui avevo sentito parlare: ad esempio le lumache alle erbe, il salmerino di montagna marinato e lenticchie, il risotto cotto in brodo di rapa gialla, con siero di yogurt e bacche di ginepro selvatiche e il petto d’anatra alla brace. Questi alcuni dei piatti che mi hanno regalato grande gioia e tanto piacere.
La mia intervista
Come vi siete conosciuti?
Ludovica: io sono di Bologna però fin da piccola sono sempre venuta in vacanza a Cortina con la mia famiglia. Mia madre ad un certo punto ha deciso di trasferirsi qui anche durante i mesi invernali e quindi quando ho conosciuto Riccardo eravamo molto giovani. Lui era sciatore professionista e non ci si vedeva molto anche se poi negli anni abbiamo comunque continuato a frequentarci in amicizia. Ad un certo punto abbiamo deciso di iniziare una relazione e io che di carattere sono molto impulsiva dopo appena tre mesi mi sono trasferita a casa sua. Lui nel frattempo aveva abbandonato la carriera di sciatore perché si era fatto male al ginocchio e aveva iniziato ad aiutare il padre nella malga e al ristorante.
Riccardo: vero, durante l’inverno facevo il maestro di sci e durante l’estate lavoravo in cucina per dare una mano ai miei e per stare con Ludovica, ma non avevo mai pensato che fosse il mio lavoro del futuro. Lei ha iniziato ad aiutare i miei genitori in sala e per questo motivo ho deciso di lasciare la carriera di maestro di sci e di concentrarmi sulla cucina.
Ludovica: devi sapere che i suoi genitori hanno deciso di acquistare la malga solo nel 2004, in pratica si sono reinventati una seconda vita. Però non era semplice, se ci pensi l’agriturismo era molto più grande e il lavoro in cucina era molto faticoso. Perciò erano molto felici quando abbiamo detto che ci saremmo rimboccati le maniche e che li avremmo aiutati, io in sala e Riccardo in cucina. Ci siamo subito appassionati nonostante non venissimo da questo mondo. La passione era comune e l’abbiamo fatta crescere assieme.
Cosa vi ricordate del periodo in cui avete iniziato lavorare assieme?
Ludovica: quello che mi ricordo io che tutti ci dicevano di non lavorare insieme, di non fare quest’errore. Nel nostro caso sono passati tredici anni e andiamo ancora d’accordo. Sul lavoro ci siamo sempre divertiti. Eravamo molto giovani e lavoravamo tantissimo, ai tempi facevamo anche trecento coperti a sera. C’erano dei giorni che iniziavamo alle nove e finivamo all’una di notte. Ma era divertente perché non c’erano grosse aspettative né da parte nostra nella parte dei clienti. Era tutto molto familiare.
E quando è arrivato il momento in cui vi siete accorti che volevate qualcosa di più?
Ludovica: piano piano forse, diciamo che abbiamo iniziato a girare molto, a mangiare in tanti ristoranti. Molti clienti hanno capito che lui aveva una potenzialità in cucina e quindi anche loro ci hanno sempre spronato a migliorarci. Io di carattere sono una perfezionista perciò con la mamma di Riccardo cercavamo costantemente di migliorare tutto ciò che riguardava la sala e l’accoglienza. E quindi automaticamente lui era invogliato a migliorarsi in cucina. Poi Riccardo ha avuto l’opportunità di fare uno stage all’Osteria Francescana e a quei tempi non non c’erano tante persone in cucina quindi Massimo Bottura riusciva veramente a dedicare molto tempo alle persone che lavoravano per lui.

Che cosa ti ricordi di quella esperienza?
Riccardo: tutta l’esperienza in generale, in realtà è andata molto meglio di come me l’ero immaginata. Pensavo che avrei trovato un ambiente molto freddo invece mi sono sempre sentito a casa. I miei colleghi erano socievoli, Massimo mi faceva provare e assaggiare tutto. Il mio approccio era diverso da quello dei miei colleghi perché io avevo già un ristorante e sapevo che il mio tempo era poco, quindi ho cercato di dare subito il massimo. Stavo dentro la cucina tutto il giorno e quindi ho avuto l’opportunità di parlare e di chiedere molto, rompevo molto le scatole.
Invece tu Ludovica sei rimasta qui a Cortina?
Ludovica: sì perché quand’è successo avevamo avuto da poco una figlia. Non ci siamo visti per un po’ di mesi. Il primo giorno è entrato alle nove della mattina e l’ho sentito solo all’una di notte. Mi ha scritto solo: “sono vivo”. Ma io lo capivo perché avendo poco tempo lui voleva stare il più possibile in cucina per imparare.
Del periodo in Francescana che cosa ti sei portato dietro?
Riccardo: dal primo stage (ho avuto la fortuna di farne tre) sicuramente l’organizzazione della cucina. Qui lavoravamo in maniera molto casalinga e ho imparato a lavorare in modo professionale. Le altre due volte purtroppo ho avuto sempre poco tempo a disposizione e quindi Massimo mi ha permesso di scegliere su cosa lavorare, quindi cercavo di focalizzarmi su quanto mi serviva.
Per quanto riguarda la sala, su cosa ti sei concentrata? Che cosa hai voluto migliorare?
Ludovica: ho capito che nella vita e in questo lavoro è fondamentale la sensibilità. Che il ristorante sia grande o piccolo tu devi essere sensibile nei confronti del tuo cliente. In questo modo capisci come approcciarlo, quanto e come parlargli e soprattutto ciò di cui ha bisogno. La differenza tra il Brite e il San Brite è sicuramente il tipo di fatica. L’agriturismo ti obbliga a un lavoro molto veloce, non puoi deconcentrarti, devi essere molto rapido e organizzato. Al San Brite il lavoro è tutto di testa, devi concentrarti su dettagli, sulle piccole cose, prestare molta più attenzione ai gesti e alle espressioni dei clienti. Se noi perdiamo la concentrazione, è un disastro.

In cucina invece quali sono stati cambiamenti che hai apportato? E soprattutto cosa vuoi trasmettere ai ragazzi che lavorano con te?
Riccardo: devo dire che sono molto fortunato. I miei ragazzi hanno capito che è fondamentale essere organizzati: tutti sanno quello che devono fare e soprattutto che devono farlo bene. Per me è importante responsabilizzarli da subito. I compiti sono ben divisi, ma comunque insegno sempre che è importante darsi una mano. Ludovica ed io spieghiamo ai nostri ragazzi che è fondamentale sentirsi parte di un gruppo. Una volta interiorizzato questo valore è tutto più semplice e i risultati sono più rapidi.
Nel tempo libero cosa fate?
Ludovica: come ben sai questo è un lavoro molto impegnativo a livello di ore e a livello psicologico, e poi ci portiamo sempre a casa un po’ di lavoro, questo è inevitabile. Questa fermata obbligatoria ci ha permesso di vivere di più le nostre figlie soprattutto la sera. In generale, nel tempo libero quando possiamo, giriamo tanto, cerchiamo sempre di fare le vacanze in posti che ci interessano, posti in cui possiamo capire come funzionano le cose negli altri ristoranti. Ci piace provare tanti luoghi diversi: dai ristoranti stellati alle osterie, poi visitiamo i piccoli produttori, le aziende agricole.
Dimmi la verità…quanto è importante il parere di Ludovica quando realizzi un nuovo piatto?
Riccardo: beh come puoi immaginare, il parere che più mi interessa è il suo perché lei comunque conosce benissimo la mia cucina e capisce i miei piatti. Poi è davvero onesta ed è in grado anche di capire quali piatti possono funzionare in sala e questo è fondamentale. Ci sono molto piatti che abbiamo fatto è che non abbiamo mai servito.

Cosa intende per “piatti che non sono adatti alla sala” del San Brite?
Ludovica: io lo conosco bene ovviamente e quindi capisco quando non è convinto di un piatto. E se già parte che non è convinto di quel piatto è meglio lasciar perdere. Ormai non c’è neanche più bisogno di parlare. Lui sa già, quando assaggio un piatto, se mi piace e io so già, assaggiandolo, se è adatto la sala. Insomma dalle espressioni lui capisce tutto e dai piatti io capisco tutto. A volte ad esempio ci sono dei piatti che sono perfetti per la sala ma che a me non piacciono perché magari hanno un ingrediente che io detesto, come la zucca.
In quel caso devo essere lungimirante e non devo pensare al mio gusto personale. Altre volte io consiglio di inserire dei piatti che so che possono essere fondamentali all’interno del menù degustazione. Poi per noi è fondamentale fare un gioco di squadra anche con i ragazzi. Ovviamente l’ultima parola riguardo al menù spetta a noi ma amiamo ascoltare i pareri delle persone che lavorano con noi perché sono tutti potenziali clienti con palati e gusti diversi.
Nei tuoi piatti possiamo ritrovare alcuni sapori d’infanzia?
Riccardo: no, i sapori d’infanzia li ho lasciati nel ristorante dell’agriturismo. Noi qui stiamo cercando di fare un percorso sulla materia prima: c’è tradizione ma anche molta ricerca. Non ricerco i sapori della mia infanzia piuttosto le tecniche che si usavano una volta.
C’è un piatto che ti ha fatto capire che eri sulla strada giusta nella ricerca della tua identità in cucina?
Riccardo: probabilmente lo spaghetto al pino mugo. Non tanto per il sapore, ma per quello che rappresenta. Mi ricordo che sono andato da Ludovica e le ho detto: “se una persona pensa ad un primo piatto legato alla montagna pensa alla tagliatella con i funghi ma io non sono d’accordo perchè i funghi puoi trovarli anche in campagna o comunque in collina. Io voglio fare un piatto che sappia di montagna, come quando vai al mare e mangi lo spaghetto allo scoglio”.

Voi siete molto giovani, però voglio farvi lo stesso questa domanda. Cosa direste a una Ludovica e a un Riccardo di vent’anni?
Ludovica: io credo che molte volte alle persone molto ambiziose e che lavorano molto per raggiungere i propri obiettivi, capiti che non si rendano conto di quello che hanno realizzato. Ad esempio a me sembra che sia veramente passato poco tempo da quando avevo vent’anni e ho iniziato questo percorso. Nel senso che è stato tutto molto naturale e automatico ma non mi sono mai fermata a farmi un complimento. Non ho nessun rimpianto e nessun rimorso perché sono davvero felice di quello che abbiamo costruito in questi anni. Se devo darmi un consiglio è quello di seguire il mio istinto perché sicuramente è la cosa che mi ha aiutata di più.
Riccardo: io gli direi solo di non dare nulla per scontato e di impegnarsi di più. Perché comunque mi rendo conto che impegnandomi di più in certe cose magari avrei fatto meglio.
Ludovica: in questo siamo molto diversi, io sono molto più istintiva e magari mi godo il momento. Lui invece non è mai soddisfatto. Ad esempio quando è arrivata la notizia della stella lui mi ha risposto: “bene, adesso tocca lavorare per la seconda”.
Riccardo: (ride) beh diciamo che questo è un insegnamento che mi porto dalla mia carriera sportiva. Perché ad esempio quando ero giovane il mio allenatore mi diceva sempre: “allenati e impegnati di più perché il talento non basta”.
Se non aveste fatto questo lavoro che cosa avreste fatto?
Ludovica: io probabilmente non sarei rimasta in Italia. Sono sicuramente molto creativa e quindi mi sarei inventata qualcosa. Però non ho idea, mi sento nata per stare in sala. Non mi mortifica servire le persone anzi, mi dà gioia. Anche se sono persone che magari non apprezzano quello che facciamo. Mi sento molto fortunata a fare questo lavoro. Al giorno d’oggi, non tutti la pensano molto così, soprattutto qui in Italia. È un lavoro che non viene valorizzato.
Riccardo: se ci pensi è uso comune dire: “sono rimasto senza lavoro e quindi vado a fare il cameriere”. Oppure se qualcuno ha avuto un po’ di successo nella vita spesso dice: “ da giovane ho anche fatto il cameriere”. E per me è incomprensibile perché fare il cameriere è un lavoro onesto e bisogna essere fieri di farlo. In ogni caso, ho un passato da sciatore professionista, quindi penso che avrei intrapreso la strada dell’allenatore di sci. Amo stare all’aria aperta. Per me sciare è sempre stato uno sfogo, una carica di adrenalina e una grande passione. Mi ha insegnato il significato della parola sacrificio e mi ha permesso di imparare a gestire i momenti di pressione. Dopotutto ha qualcosa in comune con la vita da chef.

San Brite – Indirizzo: Località Alverà, 32043 Cortina d’Ampezzo BL – Telefono: 0436/863882
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